nell’ultimo Consiglio dei ministri, dopo un esame preliminare a marzo, il Governo ha approvato definitivamente quattro decreti legislativi di recepimento di altrettante pregresse direttive europee: il “pacchetto normativo sull’Economia Circolare” (questo il nome usato) che ha ottenuto il via libera dell’Ue già dal 2018 rivoluzionando la gestione rifiuti in tutti gli Stati membri UE.
Il nuovo pacchetto normativo europeo sull’Economia Circolare ha terminato il proprio percorso legislativo, iniziato ormai nel lontano 2014 a opera della Commissione europea.
Tra gli argomenti spiccano importanti novità sulla gestione di veicoli fuori uso, imballaggi di ogni genere, gestione discariche per i rifiuti urbani e gestione dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche
In particolare 2 decreti legislativi in modifica alle pregresse normative CE sono quelli destinati ad avere il maggior impatto sull’Economia Circolare, e di conseguenza anche sulla salute dell'ecosistema e dei cittadini.
Il recepimento delle direttive UE rafforza il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, inoltre aggiungerà anche misure relative alla prevenzione della dispersione dei rifiuti in ambiente naturale e alla riduzione dello spreco alimentare.
L'attuale programma vigente sta comunque rispettando i suoi fragili obiettivi previsti per gli urbani, mentre i parametri riferiti agli speciali continuano purtroppo a peggiorare.
Complessivamente, il recepimento delle direttive UE sull’Economia Circolare porta obiettivi sfidanti quanto importanti soprattutto per l'Italia, in cui le aziende manifatturiere sono l'anima della nostra economia e al contempo siamo carenti di risorse naturali.
Basti pensare che metabolizziamo circa 500 milioni di tonnellate all’anno di materie prime e che di questa il 65% importate dall’estero mentre produciamo oltre 170 milioni di tonnellate l’anno di rifiuti, con un tasso di circolarità più alto della media UE ma comunque fermo al 17,1%.
Le direttive UE appena recepite si incentrano per larga parte sui rifiuti urbani, che costituiscono neanche il 20% di tutti quelli che produciamo (gli imballaggi sono ancora meno, circa l’8%) ma rappresentano la parte più visibile e sensibile dei nostri scarti, nella cui gestione comunque le difficoltà non mancano.
Le normative non bastano senza una loro applicazione coerente sui territori, a partire dalla dotazione impiantistica necessaria per gestire secondo logica di sostenibilità e prossimità i rifiuti che tutti noi produciamo. Lo stesso Ispra, nel suo ultimo report in materia, mostra come al netto della crisi economica legata Covid-19, che sta riducendo la produzione di alcuni rifiuti ma porta nuove criticità, i rifiuti urbani siano in crescita da anni mentre gli impianti per gestirli siano sempre in calo, esponendo l’igiene urbana al rischio continuo di crisi.
Recepite le direttive UE, per uscire da questa prospettiva servono ora investimenti in nuovi impianti, in grado di collegare l’Economia Circolare alla crescita dei posti di lavoro sul territorio: le logiche Nimby e soprattutto Nimto hanno finora imposto enormi rallentamenti in materia, ma l’occasione di una svolta arriva con il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti previsto nel Testo unico ambientale dal recepimento delle direttive UE, per individuare in modo omogeneo i fabbisogni impiantistici a livello territoriale.
Una prima stima degli investimenti necessari intanto c’è già, stilata congiuntamente dalle principali associazioni d’impresa e sindacati attivi nell’Economia Circolare: per rispettare i target delle nuove direttive UE al 2035 sono necessari almeno 10 miliardi di euro. Non un costo, ma investimenti per una migliore qualità di vita, ambientale per e un’accresciuta competitività economica del sistema-Paese: già nel 2025 i benefici attesi per l’Italia in termini risparmio di materie prime valgono 12 miliardi di euro.
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